per Pepe de la Colina, con affetto
Percorre uno ad
uno i palmi che li separano
Avanza con la
tenacia di un pugile
Si avvicina con la
profonda convinzione
Il progetto
improrogabile di offenderti
Introdurre il suo
aculeo di filamento sottile
Viene verso di te
perché ti ha scelto
Risale la distanza
d’aria cristallina
Accompagnato dalla
sua terribile personalità
Si avvicina per
lasciarti tutto ciò che possiede
Ha scelto proprio
te tra un sacco d’altri
Non importa se per
lui/lei sei un fiore o un frutto
Ciò che importa è
che vuol bere da te,
vuole, da buon
amante, mangiarti
lentamente e a
tocchetti con dolcezza
Desidera staccare
ognuna delle tue membra
Ed irrigare,
sedimentare, una saliva sorda
Ti assedierà col
suo passo da barracuda
Ti torturerà
ripetutamente
come si lacera un condannato
Irromperà nel tuo
sonno, col suo sonar
Interverrà sulle
soavi maree
per penetrare un
sonno leggerissimo
Mentre lo aspetti,
temerario gironzola, fa un giro
e si avvicina alla
chiocciola dell’orecchio
come un mollusco
che cerca asilo
Dovrai sentirti
prigioniero
impetrerai Dio
affinché osservi,
gli chiederai con
una fede cruenta
che faccia cadere
la zanzara dalla punta del cielo.
Affila la sua
catana d’argento in silenzio
all’inverso,
perforata, scure spirali
che atterrano in
direzione del tuo punto polposo.
Non ci sarà
peggiore slogan
che essere
assillato da questo
piccolo spillo con
ali,
messianico cactus
che ripara la notte,
terrorista e vampiro:
anofele.
Mille e una volte,
bucaniere
Una volta per
tutte
ti maledico
moscuccia lionata.
So che in te le
colpe dei miei
peggiori raptus,
dei miei chiari
vituperi, prendono
forma
e una sorta di
finto riposo
Ancora una volta
si avvicina tenue
col suo ronzio
zittente, come
delle forbici che
stridono contro l’aria.
Lo seguo e fugge
con astuzia
Sembra conoscere
la geografia esatta della mia stanza.
Se la svigna come
un malvivente
per notti intere
tra silenzi
Mi dà ai nervi la
sua visita
È peggio di un
lamento fuori dalla porta
Perturba come il
tafano geloso
e mentre si
allontana in modo inatteso
lo catturo con un
colpo digitale.
Resta semi-ferito
nelle linee
e nei solchi
tremanti della mia mano.
Con tutta la mia
crudeltà, fissamente,
comincio ad
amputargli tutte
e ognuna delle sue
piccole membra.
Per cominciare una
zampa che rompo
dopo un’antenna
che balbetta il suo stridio
Maledetto,
svergognato, cane!
Gli rimuovo due
zampe di colpo
e premo sulla
testa fieramente.
Ma che brutto che
sei, bastardo
Non arrivi neanche
ad una bella orridezza
Sei un degno
figlio del diavolo
Che strano, mentre
ti sfoltivo
sentivo come se lo
stessi facendo
a Dio che vigila
su questo mondo!
Che piccola faccia
di falco
E che bizzarro
busto di avvoltoio
Ti ritorci nella
tua impotenza
e muggisci come un
bebè
che è nato
malformato
Mentre consegni il
tuo fiato,
mentre ti agiti
sul tovagliolo
esploro la tua
presenza maligna.
Benché ti rimanga
una sola zampa, lotti,
protesti come un
astato impregnato
di una morte che
osserva.
E tu credi che
puoi andare avanti,
figura grottesca.
A te, scavato,
a te, chiassoso,
voglio lasciarti boccheggiare
come tu hai fatto
agonizzare me,
pezzo di una
figura commiserevole,
ronzi come un
aeroplano inerme
che dovrebbe
affogarsi in un mare di sangue
sei un resto di
fonderia
La tua impotenza
si ipoteca, ma
ti lascerò vivere,
macchia di patella,
succhiami tutto il
sangue che vuoi
Non credo che, per
quanto possa sorbire,
potrai recuperare
le tue zampette,
massacratore, né
che la mia emoglobina
faccia fiorire le
tue ali di gelatina.
(Este poema se incluyó en el
libro “Los 43. Poetas por Ayotzinapa”, compilado por Ana Matías, el cual ha
alcanzado tres ediciones no venales. La primera se distribuyó en América, la
segunda en España y la tercera en Italia, cuya traducción estuvo a cargo de la
traductora Lucia Cupertino. Agradezco a todas las personas involucradas en tan
loable proyecto haberme integrado.)
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